New talents: Davide Manico, actor-dancer-art director-coach, nella mia intervista e nelle foto di Alessandro Esposito in esclusiva per lepilloledistefano

Come spesso mi è capitato negli ultimi anni con molte delle persone che poi ho deciso di intervistare e coinvolgere in uno shoot fotografico, ho conosciuto Davide Manico attraverso un social network e incuriosito sono andato a guardare bene il suo sito, http://davidemanico.weebly.com/, per capire che cosa facesse, rimanendo subito conquistato dal talento trasversale o, come lo chiama lui, multitasking. Ballerino e performer, attore e coach, Davide è nel quotidiano molto più timido di quanto mi aspettassi, questo lo rende ancora più affascinante e ha ottenuto l‘effetto di incuriosirmi anche di più. Sul set l’ho sottoposto al solito trattamento Guerrini, ovvero una raffica di battute, che rendono, o almeno io lo spero, un mio set sempre pieno di allegria, ma senza dimenticare la professionalità e, infatti, Davide si è calato perfettamente nel ruolo di modello per un pomeriggio, davanti alla macchina fotografica del bravo Alessandro Esposito. Poi ovviamente è arrivato il momento della mia sequela di domande. Che lo hanno fatto conoscere meglio a me e lo faranno, ne sono convinto, apprezzare anche a voi. Venite a incontrare un uomo dai tanti progetti: Davide Manico.

Photographer: Alessandro Esposito http://www.aeseph.it/
Stylist: Stefano Guerrini
Photographer assistant: Elisa Curatolo
Stylist assistant: Martina Frascari e Giacomo Tagliati
Make up & Hair: Fatjon Kacorri

Model: Davide Manico

Maglia / sweater Cheap Monday, cappello / hat New Era

Camicia grigia e camicia a scacchi colorati / grey shirt and shirt with checks Cheap Monday, pantaloni / trousers North Sails, decorazione per camicia / shirt decoration Archivio Guerrini

Maglione / sweater Le Coq Sportif, pantaloni / trousers Esprit Denim

Osservare il tuo cv è molto interessante, perché sembra che davvero tu sia un personaggio fatto per l’entertainment. Come hai capito che volevi salire su un palcoscenico? Quando hai compreso che danza e recitazione sarebbero state il tuo futuro?
Mi sono ritrovato sul palcoscenico mio malgrado. Si fa fatica a credere che il lavoro “On stage” sia un mio ripiego, ma è così, anche se lo faccio con piacere. Un meraviglioso ripiego, devo ammettere, ma pur sempre un inciampo rispetto a quelli che erano i miei obiettivi. Vorrei stare al di qua del palco. È sempre stato così! Voglio creare. A sei anni scrivevo scalette, palinsesti televisivi, regie e format sgangherati in cui l’audience era composta da uno critico perfetto che era mamma e la stella del varietà era mia sorella. Si andava in scena in veranda in prima serata ed io preparavo i testi, le canzoni e le coreografie. Ci rifugiavamo nella Tv perché nel paesino della provincia di Lecce questo ci era dato fare. Erano gli anni dei grandi varietà in Tv e si giocava ad imitarli. La prima vera sbandata per il teatro fu quando vidi in scena un giovanissimo Filippo Timi. Il regista era Giorgio Barberio Corsetti e andai a vedere lo spettacolo per tre giorni consecutivi. Capì che il corpo poteva fondersi alla voce e creare magie. A 22 anni superai l’audizione al Mas, Music Arts &Show. Feci il provino due giorni dopo un incidente stradale, con i lividi e il collare ortopedico. Senza sapere perché, attraversato dalla rabbia e come guidato compulsivamente da qualcosa, da una forza che il mio corpo sapeva riconoscere, ma di cui ancora non ero cosciente. Qualche mese dopo ero nell’ensemble di “Sagra della Primavera” al Teatro Franco Parenti con coreografie di Susanna Beltrami, regia di Andrée Ruth Shammah e l’étoile Luciana Savignano. Quella sera c’erano i lampi e noi danzavamo all’aperto, nell’acqua…sarà stato qualche fulmine, chissà!… ma in quel momento ho capito: sarebbe stato quello il mio lavoro.

Quali sono stati i momenti più interessanti e importanti del tuo percorso artistico?
Ne scelgo tre: il giorno in cui ho conosciuto Pina Bausch è stato sicuramente il momento in cui ho capito che di tutta la tecnica non me ne sarei fatto nulla, se non avessi cominciato a muovere qualcosa di più vero e reale dentro e fuori di me. Studiare con i suoi danzatori mi ha cambiato totalmente. Il mio debutto da creativo in cartellone di Biennale Danza a Venezia nel 2008: un momento vissuto malissimo, sia per paura di non essere all’altezza, sia per la pressione mediatica, ma sicuramente una tappa fondamentale per la mia carriera. Il primo viaggio in camper (un vecchio Ford anni ‘70) direzione Festival di Spoleto con il Collettivo Pirate Jenny, compagnia di cui sono co-direttore creativo. Per la prima volta ho vissuto un’esperienza totalizzante di arte performativa e vita con le persone che ho scelto come compagni di lavoro.

Recitazione, danza, performing art. Mondi apparentemente diversi, che tu hai esplorato in vari momenti, come hanno dialogato fra di loro? Cosa ti piace di più, quale senti più vicino?
Sono mondi in realtà vicinissimi, perché il loro denominatore comune è il “corpo”, con le sue insistenze, le sue bugie, le sue invenzioni, le sue tensioni, le sue crudeltà, le sue comicità. Dialogano perché il corpo è il mio mezzo per Comunicare. Mi sento vicino alla scrittura, poi questa genera le forme più adatte ai vari media. Se ho qualcosa da dire, scrivo. Poi inizio a raccogliere in una cartella sul mio desktop immagini, corpi, fotografie, tessuti, geometrie perdendomi nei milioni di blog in rete. Creo con le immagini e lascio che queste passino tridimensionalmente dallo spazio al mio corpo che si fa di volta in volta voce, danza, video o oggetto performante.

Cappotto / coat Fidelity, camicia / shirt Vans, jeans /denim trousers Haikure, cappello / hat New Era, scarpe / shoes North Sails

Giacca / jacket Esprit, maglione / sweater North Sails, jeans / denim trousers Cheap Monday, cappello / hat Stetson, calze / socks Sarah Borghi

Camicia / shirt Leitmotiv, pantaloni / trousers Esprit Denim

Ci racconti i lavori “CHEW_ME_UP” e “SNOW WHITE”?Entrambi fanno parte dei progetti che ho scritto con Collettivo Pirate Jenny, insieme alle mie colleghe Sara Catellani ed Elisa Ferrari. Il primo nasce per gli eventi promossi nella settimana del Salone del Mobile grazie alla collaborazione con l’agenzia ROSASPINTO. Dunque da buon milanese anche io non ho resistito al Fuorisalone e ho creato insieme alle mie colleghe una performance per 10 giovanissimi danzatori. Immaginati un party modaiolo, con la musica elettronica in una location ricercata e molto milanese e prova a pensare a dei corpi muoversi in questo caos di viveur e mojto. “Chew_me_up” nasce da questo essere masticati dalla folla di corpi e proprio da questa  folla di corpi si genera inaspettatamente la poesia di una danza in cui i performers non perdono mai il contatto fisico tra di loro, per nessuna ragione, in totale dipendenza l’uno dall’altro. Il secondo è un progetto teatrale che portiamo in scena da ormai 3 anni. Non raccontiamo Biancaneve, ma usiamo la favola per denunciare quanto sia pericoloso l’atto del raccontare. Ogni storia nel momento in cui viene verbalizzata diviene una nuova storia che a volte lascia uno strascico di vittime. Poi ci siamo divertiti a dissacrare il mito disneyano del “Vissero felici e contenti”. Io interpreto la parte di un principe azzurro sfigatissimo e dipendente dai social network che si sforza inutilmente di essere credibile come eroe. Entrambi i progetti sono pensati per far uscire il teatro dai luoghi convenzionali. Mi piace pensare ad un‘arte che sempre più spesso supera i suoi confini avvicinandosi magari a quelle persone che mai si sarebbero sognate di comprare un biglietto per andare a teatro. Performiamo ovunque: in un locale della movida, in libreria, al supermercato, per strada, nelle vetrine dei negozi, nelle case private, nelle stanze di un hotel, in un peep show per adulti, ovunque.

Leggo che hai fatto anche il casting director e il talent scout. A parte che mi chiedo perché non mi hai mai preso per un bello spettacolo, come funziona questo lavoro? Quali le difficoltà? Quali i trucchi per farlo?
Stefano in realtà quando ti ho conosciuto ho subito pensato che potresti fare la mia controfigura del Principe Azzurro in Snow White, te la senti di indossare una calzamaglia bianca? A parte gli scherzi, il casting director è un ruolo che ti da una grande responsabilità, ma non è quel tipo di responsabilità che io desidero prendermi. Mi è capitato di farlo ed è qualcosa di assolutamente imbarazzante. Selezionare vuol dire arrogarsi la giusta presunzione di stabilire cosa potrebbe commercialmente funzionare e cosa no. Il problema nasce dal fatto che le persone non sono cose, ma mondi. Quando sono dall’altra parte della barricata è più semplice: magari capita il giorno in cui il provino ti viene male, perché sei stanco, distratto o fuori focus, ma in quel caso non sono io a dover dire: “No” o lo squallidissimo “Le faremo sapere”. Quando si tratta di selezionare mi sento un vero inadeguato. Quando invece si tratta di scoprire il talento a quel punto mi brillano gli occhi. Credo di aver imparato molto dalla mia amica e collega Antonella Bruno che per 15 anni ha diretto il centro di formazione dello spettacolo più grande d’Europa. Abbiamo selezionato ragazzi provenienti da tutta l’Italia e per anni siamo riusciti a incoraggiarli, valorizzarli e spesso piazzarli sul mercato del lavoro. Di questo ne vado fiero. Molti di questi ragazzi erano stati esclusi da altri contesti, magari perché non avevano grandi doti fisiche. Eppure con intelligenza hanno addestrato corpo e anima sino a sviluppare pienamente il loro potenziale comunicativo.

Ci racconti il progetto Gugoltranslateit? Come è nato e di cosa si tratta? Quale il pubblico di questo progetto?Gugoltransleit è un gioco nato un anno fa. Io e mia sorella davanti alla telecamera facciamo i matti come quando eravamo piccoli. Facciamo quello che abbiamo sempre fatto con la differenza che ora lo facciamo su youtube.  Spesso siamo lontani per lavoro e questo gioco ci serve per sentirci a casa. E quindi per gioco ci siamo ritrovati youtubers a parlare di musica pop, di trentenni single, di tendenze milanesi, di trash tv. E pare che ci sono svalvolati come noi che ci seguono, che ci amano, che ci invitano in vacanza… insomma abbiamo scoperto un mondo. Non facciamo montaggio e postproduzione dei nostri video. Non c’è un progetto commerciale (anche se siamo stati anche contattati per diventarlo). Tutto è in presa diretta per 7 minuti, senza tagli, senza scalette, siamo quello che siamo. Forse è per questo che qualcuno si è addirittura affezionato alle nostre facce. Riscriviamo cover delle canzoni del momento, ci impappiniamo, ridiamo e ci divertiamo da matti…magari potesse diventare il nostro lavoro!

Camicia / shirt Angelos Frentzos, pantaloni / trousers North Sails

Felpa con cappuccio / hooded sweatshirt Leitmotiv, camicia di jeans  e jeans / denim shirt and trousers Cheap Monday, spilla / brooch Archivio Guerrini

Visto che questo blog è legato allo stile, ci dai la tua personale definizione di eleganza? Che cosa non manca mai nel tuo guardaroba e cosa invece non sopporti? In generale come definisci il tuo modo di vestire?
Qui io imposterei la voce come un vero istrione e ti darei la seguente definizione:”L’eleganza è avere il collo lungo e le mani proporzionate, poi un certo ritmo nel muoversi e osservare.” Boh! Questo è il mio concetto morfo-dinamico di eleganza legata strutturalmente al mio mestiere. L’eleganza è un colore come il blu scuro. Nel mio guardaroba non può mancare la banalissima camicia, meglio se button down, mi fa sentire importante e se devo litigare con qualcuno la  indosso. Amo i maglioni o le felpe oversize. Non sopporto gli uomini con le famose ciabatte estive, quelle comode che fanno così radical chic. Detesto i jeans bianchi e le fantasie mimetiche. Non saprei definire il mio modo di vestire. In casa azzardo abbinamenti da vero creatore di tendenze, ma appena varco la soglia non sono uno che osa nei look. In generale vado in giro con Superga bianche jeans e T-shirt. Ultimamente dicono che tendo all’hipster look, ma fondamentalmente cerco la comodità.

Sei molto timido, come si vince la timidezza facendo il tuo mestiere? E, proprio da timido, come ti sei trovato a fare il modello per il nostro shoot?
Quando sono su un palcoscenico, quando interpreto un ruolo non ho altro che quello da fare: giocare ad essere altro da me. Sul palco la timidezza non esiste perché in quel momento io non sono io. Quindi non è tanto vincere la timidezza, ma tenersela per la vita reale. Penso che nella vita reale quella timidezza sia poi preziosa per poter immagazzinare più informazioni possibili che saranno utili per un futuro personaggio o per creare qualcosa di credibile in scena. A volte un timido è solo un buon osservatore. Durante lo shooting mi sono divertito moltissimo, perché poi mi immaginavo dall’esterno incredibilmente goffo e dentro di me pensavo: “è da due ore che sparo pose da attore di fotoromanzo anni 80”!

Sogni e progetti per il futuro?
Ne avrei tantissimi, ma ti confido i più importanti. Il primo è realizzare un nuovo format culturale che ho ideato con le mie colleghe di Collettivo Pirate Jenny e sempre con loro ultimare la seconda tappa della trilogia della fiaba portando in scena il prossimo anno una riscrittura della favola di Pollicino. Poi dovrei finire di scrivere una sit-com per il web con mia sorella e trovare qualcuno disposto a produrla. Infine, il più presuntuoso, dare vita ad un polo cross mediale sulla cultura e la performing art nel mio paesino del sud. È solo questione di tempo, in cucina ho una “to do list” attaccata alle piastrelle col patafix … però col tempo la lista invece di accorciarsi si allunga! Il guaio di chi nasce multitasking!

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